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 [ foto di Luciana Morbelli ]





Fabio Giovinazzo è nato a Genova. Dopo esperienze di poesia, fotografia e pittura, Kinek ìrod ezt? è il suo primo film, con il sostegno della Facoltà di Lettere dell'Università di Genova e della Cineteca Griffith. Si è laureato in Lettere.


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Sono sempre stato attratto da tutto quello che rimane nascosto. Quando faccio cinema divento il miglior psichiatra di me stesso. Mi piace ragionare sulla mia interiorità, poi consegnarla alle immagini, quindi darla in pasto agli spettatori. È come se donassi il mio corpo ad un branco di bestie affamate. Lo trovo parecchio eccitante e terapeutico al tempo stesso.
Il mio cinema è simile a un sogno o a una fiaba. Non mi interessa far arrivare al pubblico un messaggio. Non mi interessa insegnare niente a nessuno. Sono un grande egoista in questo senso. E le riprese che sviluppano il mio cinema devono per forza essere sottomesse a questa regola. Mi piace analizzare il mio pensiero, in uno stile complicato. Diciamo che attraverso le immagini cerco di curare il mio animo. Detesto i momenti in cui questa possibilità mi sfugge. È una ricerca continua, c’è sempre tanto da fare…

Pianifico e cerco di anticipare tutto prima di girare una scena, anzi una singola inquadratura, ma quando arriva il momento dell’azione può capitare che la mia interiorità stravolga tutto, anche sé stessa. L’ambiente può comunicarmi nuove idee o suggerirmi stati d’animo fino a qualche attimo prima sconosciuti. Allora è come la fenice che si getta in un rogo e rinasce dalle proprie ceneri.

Io sono un autodidatta. Ho imparato a fare le riprese guardando ogni genere di film. Sono convinto che la migliore educazione al fare cinema è cercare di realizzare un film da solo. È un’esperienza incredibile, ricca di soddisfazioni e di profondi insegnamenti.